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Necessario era metterci il naso.Pubblicato Mercoledi 23 Settembre 2009 alle 08:48 da JACOPOHo sempre avuto un certo imbarazzo a pubblicare cose personali soprattuttose non riguardano strettamente la Val di Mello. Ma questo breve racconto sulla mia prima volta sulla Nordest, ha avuto la fortuna di essere illustrato dal fortissimo Claudius e così arricchito non potevo più tenerlo chiuso in un file Sarebbe interessante il confronto con altri racconti di questa mitica salita non lontana dalla Val di Mello Si diceva che un alpinista di “punta” prima o poi avrebbe dovuto salire la Cassin al Badile e così un giorno di inizio estate di più di 30 anni fa con l’amico Paolo Masa saliamo al rifugio Sasc Furà ai piedi dello spigolo Nord. A quel tempo i frequentatori del rifugio si dividevano in due categorie: gli escursionisti che percorrevano il versante nord verso il rifugio Sciora e gli alpinisti che salivano lo spigolone del Badile. In comune avevano le calzature. Enormi scarponi per proteggersi dai congelamenti: all’epoca la montagna era molto severa e andava di moda narrare d’improvvise tempeste di neve. Ma quel giorno, il tempo era assolutamente bello e caldo e i piedi dentro quelle fornaci uscivano puzzolenti e gonfi. Il severo regolamento Svizzero tra l’altro, vietava l’introduzione degli scarponi nell’edificio e quindi restavano in bellavista allineati al suo ingresso. Altra cosa in comune era la levataccia “tutti fuori prima dell’alba”, tra le tre e le quattro del mattino con la pila frontale e un freddo boia. Io e Paolo trasgressori anarchici per definizione non potevamo permettercelo, ne sarebbe andata della nostra faccia e così ci accordammo per una partenza morbida dopo le sei, cosa che sconvolse la bella Custode: “ ma dove credete d’andare a quell’ora?” Lasciamo il rifugio ancora in ombra con la parete Nordest già risplendete di luce; saliamo piano. Un’ora e mezza dopo arriviamo al piccolo valico che si apre sulla cengia del Viale, non abbiamo relazioni scritte ma un ometto di sassi segna il passaggio. Paolo è avanti, io fatico come una bestia e non vedo l’ora di trovarmi sulla roccia. Scendiamo lungo il Viale baciati dal sole; poi un po’ di ghiaccio e un breve pendio di neve ed ecco la roccia calda e appoggiata: dove sarà la Cassin mi chiede Paolo mentre con le dita mi libero dalla neve che si è infilata nel colletto delle scarpe da ginnastica. Boh, iniziamo a salire, tiriamo su dritti e prima o poi la incrociamo, gli propongo. Nel primo tratto ci sono delle magnifiche placche intervallate da piccole cenge con fiori bianchi e rivoli d’acqua. Andiamo un po’ di qua un po’ di la, poi ecco una lunga cengia che attraversa fino allo spigolo, sappiamo che dobbiamo in parte seguirla dalla parte opposta, verso il centro della parete. Si sale e si attraversa fino ad un’incredibile sporgenza protetta da uno strapiombo. Deve essere il primo bivacco Cassin. La parete si raddrizza, sembra difficile: è meglio legarsi. Va Paolo poi tocca a me quindi ci sleghiamo di nuovo; la parete torna appoggiata. Dall’alto una sorprendente e silenziosa cascata di birilli, rimbalza sulla roccia. addosso ad una velocità pazzesca. Urlo a Paolo e ognuno cerca come può una sporgenza dove proteggere il cranio. La scarica di pietre ci lascia incolumi, con un odore di zolfo e una voglia matta di essere rapidi. Puntiamo ad una chiazza di neve nel cuore della parete. Al suo margine c’è una cordata ferma a mangiucchiare qualcosa; ma noi abbiamo il terrore delle pietre, pietre gettate dall’alto dai calci scarponati degli spigolisti. La parete torna ripida e bagnata è meglio legarsi. Si parte dentro un caminetto difficile e a seguire un diedro divertente con tanti chiodi. Saliamo nel sole, veloci, forse troppo. Di nuovo la parete s’appoggia e proseguiamo in conserva verso una profonda linea di fessure. Ci troviamo alla base dei camini terminali, qui ci sentiamo protetti e finalmente ci rilassiamo. Il fondo del camino è in ombra ed intasato di grandine coperta da un sottile strato di verglace, non abbiamo piccozze ma un piccolo martello. Con quello puliamo qualche appiglio e liberiamo dal ghiaccio gli anelli di vecchi chiodi. Più in alto la roccia torna asciutta, ancora un tiro ed usciamo in una piccola cengia sul filo del pilastro del Badile. La via Cassin va a sinistra, con un pendolo assurdo raggiunge il centro della parete tra roccia friabile e ghiaccio; oppure, ci sono altre due alternative: andare verso destra raggiungendo subito lo spigolo o salire dritti sul filo del pilastro in aderenza. L’aderenza è il nostro pane e optiamo per questo elegante finale. A mezzogiorno siamo sulle ultime punte dello spigolo mentre verso il basso serpeggia la lunga coda degli spigolisti con caschi, piccozze infilate negli zaini rossi e calzoni alla zuava maron. Ci mettiamo in bocca un pezzo di pancetta, ma è la birra che vogliamo e quindi si va giù. Doppie, doppie e brevi camminate in discesa e poi ancora doppie. Due ore dopo siamo ai piedi dello spigolo, ci liberiamo delle corde e seguiamo le tracce di sentiero. Detesto camminare, l’ho sempre detestato e quando mi tocca sembra ancora peggio dell’ultimo ricordo. Paolo spinto dalla birra vola verso il basso mentre io mi trascino. Tra i larici bruciati dai fulmini ecco Sasc Furà e finalmente c’è birra e ancora birra. Quindi ancora giù nel ripidissimo sentiero che porta a Laret e all’auto. Sono quasi le sei del pomeriggio e la parete Nordest è tornata in ombra. Bondo, Chiavenna, Morbegno, Sondrio ed in fine a Tirano dove m’attende mio padre per un invito a cena. Sono evidentemente stanco e il volto è bruciacchiato: ma dove sei stato è la prima domanda. Sulla Cassin al Badile gli rispondo! Mio padre non è un alpinista, alla mia età era ufficiale di marina prima di intraprendere la carriera d’ingegnere civile, però il Badile lo conosce benissimo per aver letto l’epica salita in solitaria del grande Erman Bull. “Ma non sei finito nell’Adda con la bicicletta?” Domanda sarcastico a quel figlio diciottenne che non sa se conta palle oppure no. ARTICOLI CORRELATI
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Giuro che quando è toccato a me fare lo spigolo del Badile di corsa, perchè con l'autore dell'articolo in questione ho fatto così, sono stata molto ACCORTA a non far cadere neppure 1 (UNO) BIRILLO. Me ne ricorderei se ciò fosse accaduto. Come ricordo bene, perchè stampata meglio di una foto nel mio cervello, la sosta su friends che abbiamo fatto proprio sul terrazzino dove sbuca la Via Cassin perchè c'era un traffico tale sullo Spigolo da far invidia al Corso Vittorio Emanuele nelle ore di punta.
E quando mi sono vista sbucare un arrampicatore anche da sinistra, dalla via Cassin (ma non lo sapevo), mi sono sentita circondata.
Mi arrendo!